Oggi pubblichiamo un lavoro di Asia F., che riflette sulla ricerca della felicità a partire da un testo di E. Montale.
Ci siamo sentiti dire sin dall’inizio dell’infanzia e ci hanno insegnato che la felicità “È l’obiettivo finale della vita”, un’entità esterna verso cui dobbiamo dirigerci.
Ecco perché abbiamo imparato a dire “Quando diventerò così… sarò felice”, ponendo in un tempo lontano da noi l’oggetto del nostro desiderio e amore. Molti ci hanno ripetuto che “L’importante è essere felici”, ma raggiungere un tale traguardo sembra tanto difficile quanto strappare il sole dal cielo.
Montale, premio Nobel della letteratura e autore della poesia “Felicità raggiunta si cammina”, si sarebbe riconosciuto in queste frasi e, allo stesso tempo, avrebbe percepito un velo di angoscia di fronte a ciascuna di esse; egli riteneva infatti che la gioia fosse una condizione tanto difficile da raggiungere quanto facile da perdere.
Nei primi due versi del suo componimento il poeta afferma
Felicità Raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Con queste parole intende mettere in luce il sacrificio al quale l’uomo si deve necessariamente sottoporre una volta conquistata la tanto ambita felicità. Il sentimento di timore si genera nell’individuo nel momento in cui si rende conto di essersi lasciato scappare il suo benessere, come il “bambino” di Montale ha perso il suo “pallone” che è “fuggito tra le case”.
Più avanti il componimento prosegue con queste parole:
Se giungi sulle anime invase
di tristezze e le schiari, il tuo mattino
è dolce turbatore, come i nidi delle cimase
In questi versi il poeta presenta gli effetti provocati dalla felicità “sulle anime invase di tristezza”, ovvero lo “schiarimento, la dolcezza e il turbamento”.
Montale conosce il duplice volto della felicità: quello positivo, che si manifesta come un raggio di sole che illumina la nostra esistenza permettendoci di cogliere il calore della vita, e quello negativo, che il timore della sua sparizione porta con sé. Ecco il motivo per cui il “suo mattino”, che vede la conquista della felicità e le emozioni legate al suo arrivo, è “dolce”, ma anche “turbatore”, infonde paura.
Montale per esprimere la sensazione dolce amara della felicità dice che è “come i nidi delle cimase”: questa espressione mette a confronto la condizione di felicità a cui l’uomo aspira alla delicata, fragile e piccola abitazione degli uccelli che, costruita con la massima cura e meticolosa precisione, viene posta fra le fessure di un tetto, di una casa o di un altro edificio; con attenzione i piccoli volatili compongono un cestino di rametti, selezionati uno a uno in vista del progetto della loro dimora e quindi incastrati in modo che siano più stabili possibile. Per loro il nido è situato nel luogo del tetto più sicuro per se stessi e per i piccoli che ci dovranno vivere.
Montale, però, ci tiene a evidenziare la precarietà della piccola abitazione, che potrebbe disfarsi anche solo con un colpo di vento troppo forte.
La delusione derivante dalla perdita della felicità, così rappresentata, per il poeta è quasi irrimediabile dal momento che, come si evince dalle parole “E dunque non ti tocchi chi più t’ama”, egli preferirebbe rinunciare al benessere pur di non dover più patire il dolore del suo svanire.
Quest’idea mette in evidenza sia il rapporto quasi di dipendenza che intercorre fra l’autore e la felicità, che sembra provocare in lui uno stato di assuefazione, sia la scarsa fiducia che egli ripone nella possibilità che essa possa durare a lungo, convinto che possa scivolargli dalle mani in qualsiasi momento.
Forse Montale aveva ragione a pensare che la felicità fosse difficile da raggiungere e facile da perdere, ma penso anche che, per vivere meglio, sia opportuno imparare a scorgere l’affetto e la cura che si nascondono nelle piccole cose di ogni giorno: trovare la cena pronta quando si torna a casa dopo una lunga giornata, ricevere un sorriso da uno sconosciuto, vedere due persone che si abbracciano. La nostra sensibilità può aiutarci a focalizzare l’attenzione su quei gesti che ci rendono grati di poter vivere un nuovo giorno.
Se questo non è sufficiente o non può funzionare tanto a lungo quanto sperato, accompagnare questa ricerca quotidiana della felicità all’inseguimento delle proprie aspirazioni è una buona cosa: il dizionario stesso definisce la felicità come “la compiuta esperienza di ogni appagamento” e “opportunità, convenienza, eccellente riuscita”. Ritengo che sia importante tenere presente come il raggiungimento di questo obiettivo corrisponda all’avvicinarsi a una versione più autentica di noi stessi: dovremmo puntare, quindi, all’autorealizzazione. Credo che collezionare successi che ci rendono soddisfatti e compiaciuti solo se ci osserviamo da un punto di vista esterno, estraniandoci dal nostro corpo, non meriti il sacrificio delle nostre risorse.
Nel caso in cui, nonostante lo sforzo costante, non riuscissimo a realizzare il nostro sogno, è bene ricordare che il tempo e l’energia spesi sono stati dedicati alla volontà intima e personale di sentirsi meglio, che è la scintilla che ci fa sentire vivi.
Nonostante ciò, la delusione non può non manifestarsi se il desiderio era reale, e senza questo sentimento apparentemente negativo non saremmo in grado di cogliere la bellezza di un momento di pura gioia. Allora, come Montale, possiamo affermare che:
“nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case”.
Asia F.