Un lungo dialogo con Rudi Micheletti alla scoperta di un possibile futuro lavorativo

Abbiamo avuto il piacere di intervistare Rudi Micheletti, scienziato con oltre 10 anni di esperienza nell’epigenoma e attualmente direttore dell’unità di biologia e genomica funzionale presso HAYA Therapeutics di San Diego, California.

Può descrivere il suo ruolo attuale come Direttore dell’Unità di Biologia e Genomica Funzionale; come funziona?
Il mio compito principale è garantire che il laboratorio funzioni in modo ottimale, assicurandomi che tutti gli esperimenti programmati siano eseguiti correttamente e con uno scopo specifico. A differenza della ricerca accademica, dove l’obiettivo è spesso acquisire una comprensione più profonda dei meccanismi, nel mio attuale contesto industriale il focus è creare valore per l’azienda. Ogni anno, definiamo insieme degli obiettivi aziendali, e il mio lavoro consiste nel progettare esperimenti mirati a raggiungere questi traguardi.
Le mie responsabilità principali sono, dunque, disegnare e realizzare esperimenti di alta qualità per raggiungere i goal aziendali e partecipare a conferenze, raccogliere dati e adattarli ai vari contesti (scientifico, economico, investitori, pazienti) per attrarre investimenti e comunicare la scienza. Inoltre, è fondamentale rimanere aggiornati sulle tecniche e ottimizzare i protocolli, poiché l’evoluzione nella ricerca è continua e cruciale per non rimanere indietro.
Poiché, quindi, la comunicazione è importantissima, per diffondere le informazioni si partecipa a corsi, anche per imparare ad approcciare con i pazienti, oppure è una cosa che si impara da soli?
Nella mia azienda, adottiamo un approccio pratico all’apprendimento, tipico delle start-up. Invece di seguire corsi formali per sviluppare soft skills, crediamo nel “learning by doing”, ovvero imparare quando è necessario.
In un contesto di start-up, ci si aspetta che tutti indossino “molti cappelli”, cioè che svolgano diverse funzioni, come HR, finanza o scienze. Questo rende il lavoro vario ed eccitante.
Invece di corsi formali, ci prepariamo leggendo e aggiornandoci, affrontando le sfide man mano che si presentano. La pratica porta a un miglioramento progressivo.
Inoltre, lavorando in un ambiente piccolo, ho accesso a colleghi più esperti. Quando ho domande o dubbi, posso chiedere loro aiuto e ricevere feedback, il che facilita il mio apprendimento e sviluppo professionale.

Quali sono state le principali sfide e opportunità nell’applicare appunto le sue conoscenze allo sviluppo di nuovi approcci terapeutici?
Nel mio percorso, ho affrontato diverse difficoltà sia nel contesto accademico che in quello aziendale.
Dal punto di vista accademico, l’iter di pubblicazione è particolarmente impegnativo. Scrivere proposte per ottenere fondi è una delle sfide più difficili. Gli editori spesso forniscono feedback molto critici, e può essere difficile non prenderli sul personale, specialmente quando si tratta di lavori a cui ho dedicato anni. Ricevere commenti negativi su progetti che considero quasi come “figli” è psicologicamente pesante, soprattutto quando questi commenti possono ritardare la pubblicazione di un anno o più.
In azienda, una delle sfide più grandi è la necessità di indossare “diversi cappelli”. Passare rapidamente da un ruolo all’altro richiede una notevole flessibilità mentale. Spesso, ci sono scadenze molto strette, come quando si presentano opportunità di incontro con investitori. Queste situazioni possono essere estenuanti, poiché ho solo pochi giorni per prepararmi e convincerli, sapendo che potrebbe essere l’unica occasione che ho. Sebbene queste sfide possano essere stressanti, offrono anche un certo grado di eccitazione e dinamismo al lavoro. Tuttavia, la velocità con cui devo adattarmi rimane una delle difficoltà più significative che affronto.

La competizione in questo mondo è qualcosa di persistente?
La competizione in ambito accademico e industriale è estremamente intensa e presenta sfide diverse.
Nell’ambiente accademico, la pubblicazione è fondamentale per la carriera di uno scienziato. Ho sentito storie di dottorandi e post-dottorandi che lavorano nello stesso laboratorio su progetti simili, dove il primo a pubblicare ha un vantaggio decisivo, mentre gli altri possono trovarsi in difficoltà. Questa competizione può diventare malsana, con episodi di sabotaggio tra colleghi, creando un clima di rivalità anche tra università diverse.
In ambito industriale, la competizione si concentra sugli investitori. La nostra azienda, ad esempio, si occupa di RNA non-codificante lungo, un campo in cui ci sono altre aziende concorrenti. Gli investitori sono interessati a più di un’azienda, ma spesso investono solo in una, il che rende cruciale dimostrare di essere la scelta migliore. La situazione attuale del mercato delle biotecnologie è in miglioramento, ma rimane più lenta rispetto al passato, aumentando la pressione per ottenere finanziamenti essenziali per la crescita dell’azienda.
Per affrontare questa competizione, è fondamentale conoscere bene i propri concorrenti. Nella nostra azienda, abbiamo membri dedicati a monitorare le attività dei competitor, analizzando le loro pubblicazioni e presentazioni. Questo ci consente di comprendere le loro forze e debolezze, permettendoci di adattarci e migliorare continuamente per rimanere competitivi nel settore.
In che modo l’esperienza e le competenze che ha acquisito durante il suo percorso di studio e anche di ricerca l’hanno preparata per il ruolo che occupa attualmente, quindi quello di Direttore?
Il mio percorso professionale è stato caratterizzato da passaggi obbligati che mi hanno portato dove sono oggi. Ho un background scientifico solido, avendo trascorso gran parte della mia carriera in laboratorio, dove ho eseguito esperimenti. Tuttavia, ho dovuto adattarmi e apprendere nuove competenze, in particolare durante il periodo del Covid, quando l’accesso ai laboratori era limitato. In quel momento, ho deciso di imparare a fare analisi computazionali, un aspetto fondamentale nella genetica e nell’epigenetica. Ho studiato da autodidatta diversi linguaggi di programmazione, il che mi ha permesso di comunicare efficacemente con il team di biologi computazionali della mia azienda.
Inoltre, il mio ruolo richiede non solo competenze scientifiche, ma anche abilità di leadership. Questa è stata una delle sfide più grandi, poiché non avevo mai ricoperto il ruolo di line manager prima d’ora. Essere un buon leader implica capacità che non sono scontate e sto ancora cercando di migliorare in questo ambito. Per farlo, ascolto podcast e leggo libri sulla gestione in contesti di start-up e biotech.
Una delle difficoltà nel gestire un team è trovare il giusto equilibrio nei rapporti interpersonali. È importante non essere troppo amichevole, poiché ciò può compromettere l’autorità, ma neanche troppo distaccati, per evitare un clima freddo. Essere oggettivi e non mostrare preferenze è complesso, soprattutto quando si osservano performance diverse tra i membri del team. Nonostante le sfide, essere un capo è un’esperienza stressante ma anche gratificante, e continuo a imparare e a crescere in questo ruolo.

Qual è quindi la parte preferita del suo lavoro?
La scienza rimarrà sempre al centro della mia vita professionale. Anche se sto iniziando a comprendere meglio aspetti manageriali e strutturali dell’azienda, come la governance e le dinamiche decisionali, la mia passione principale è la scienza. Quando ricevo dati promettenti dagli informatici riguardo a un programma su cui stiamo lavorando, è un momento che può davvero cambiare la mia giornata.
La scienza rappresenta la base di tutto ciò che faccio e continua a essere la fonte della mia motivazione. La sensazione di vedere confermata un’ipotesi che ho formulato è un’esperienza adrenalinica e gratificante, e questo è ciò che mi spinge ad alzarmi ogni mattina con entusiasmo. La scoperta e la validazione dei dati sono ciò che mi appassiona di più nel mio lavoro.

Quali consigli darebbe agli studenti delle scuole superiori interessati a intraprendere una carriera simile nella ricerca scientifica e quali potrebbero essere i percorsi di studi universitari o post-laurea che raccomanderebbe?
Ci sono molte strade per entrare nella ricerca scientifica, soprattutto in ambito medico. Molti professionisti iniziano con una formazione in medicina e poi si dedicano alla ricerca, diventando fondamentali nei trial clinici grazie alla loro capacità di interagire con i pazienti. Questa connessione consente loro di raccogliere campioni biologici, facilitando la pubblicazione di studi, poiché l’accesso a materiale umano è spesso complicato.
In un contesto aziendale, il Chief Medical Officer (CMO) è una figura chiave, in quanto guida i trial clinici e porta competenze cliniche e scientifiche. La biomedicina e le biotecnologie stanno guadagnando sempre più importanza, offrendo opportunità nel settore industriale attraverso lo sviluppo di nuove terapie e tecnologie.
Anche le discipline classiche, come matematica e fisica, sono fondamentali nella ricerca. I matematici, con le loro abilità di problem solving, e i fisici, capaci di gestire grandi quantità di dati, sono molto ricercati. I biostatistici, che analizzano i dati dei trial clinici, sono essenziali e altamente richiesti, spesso lavorando per aziende esterne a causa dei conflitti di interesse.
Un altro campo in crescita è quello dei brevetti. Professionisti con formazione giuridica e scientifica diventano avvocati specializzati in proprietà intellettuale, un settore ben retribuito e in forte domanda. Anche la biotecnologia e la chimica giocano ruoli cruciali, con chimici che sviluppano molecole per trattamenti innovativi.
In sintesi, la ricerca scientifica in ambito medico è un campo ricco di opportunità, con percorsi diversi che vanno dalla medicina alla biostatistica, dalle biotecnologie alla chimica, ognuno contribuendo in modo unico al progresso della scienza e della salute.

Quali competenze ritiene che siano fondamentali per avere successo nel suo ambito?
Per diventare un buon scienziato, è fondamentale essere attenti ai dettagli. Questa attenzione è cruciale durante gli esperimenti, poiché anche le piccole azioni possono avere un grande impatto sui risultati. Essere un buon osservatore e prestare attenzione ai particolari sono quindi competenze essenziali.
Inoltre, è importante avere un’intelligenza sopra la media, soprattutto in ambito scientifico e matematico. Sebbene ci siano diversi tipi di intelligenza, per un ricercatore è fondamentale possedere una solida capacità di ragionamento scientifico. Tuttavia, l’intelligenza sociale e politica è altrettanto importante, specialmente per chi aspira a ruoli accademici.
Essere focalizzati e precisi è un’altra qualità chiave. Utilizzare strumenti visivi, come una lavagna per annotare obiettivi settimanali e responsabilità, aiuta a mantenere la chiarezza e a evitare la procrastinazione, un problema comune nella ricerca. Essere automotivati è essenziale, poiché non ci sono pressioni esterne immediate per completare un progetto, se non l’urgenza della pubblicazione.
Infine, un buon scienziato deve essere ambizioso e avere una visione. Pur essendo razionali, gli scienziati devono anche sognare in grande e credere nelle proprie idee. La capacità di vedere oltre l’ordinario e di perseguire grandi obiettivi è fondamentale. Anche se non si punta a vincere un premio Nobel, è importante avere grandi aspirazioni e la determinazione di provarci. Credere in se stessi è ciò che spesso porta al successo, e la combinazione di razionalità e sogni può portare a risultati straordinari.

C’è qualcosa che cambierebbe nel suo percorso oppure, nonostante le difficoltà, è soddisfatto?
Attualmente, sono felice di dove mi trovo e riconosco che eventi passati, anche negativi, hanno contribuito a formarmi. Le “sliding doors” della vita, come non essere ammesso a medicina, hanno influenzato il mio percorso. Non cambierei il passato, poiché ogni esperienza, positiva o negativa, ha portato alla mia attuale soddisfazione.
Riconosco che la fortuna gioca un ruolo importante e che le difficoltà possono rivelarsi fortunate nel lungo periodo. Il dolore e le sfide ci insegnano a imparare dai nostri errori e ci rendono più resilienti. Anche le sofferenze lavorative sono state fondamentali per la mia crescita personale.
In sintesi, non cambierei nulla del mio passato, poiché ogni esperienza ha contribuito a farmi diventare la persona che sono oggi.

Ringraziamo moltissimo Rudi Micheletti per la disponibilità e speriamo che la sua esperienza personale possa essere d’aiuto a coloro che stanno pensando al proprio futuro.

Sabrina Iraoui