La foto ritrae una ragazza, anche  piuttosto carina. Cuffie e microfono dicono che sta registrando un podcast. E’ Cecilia Sala, ha 29 anni, la sua voce mi fa compagnia ad inizio giornata, mentre scendo a scuola perché quella di Cecilia è la voce del podcast “Stories”.
Da quindici giorni è rinchiusa in una cella di isolamento di una prigione iraniana, dorme sul pavimento, la luce sempre accesa, non ha contatti con nessuno, con sé non ha nulla, neppur gli occhiali.
Non ha fatto niente, solo il suo lavoro di giornalista: era andata in Iran con regolare permesso, ha rispettato tutte le regole e non sono state formalizzate accuse nei suoi confronti. L’ipotesi più probabile è che il suo arresto sia collegato a quello, avvenuto pochi giorni prima a Malpensa, su richiesta degli Stati Uniti, di un imprenditore svizzero-iraniano, accusato di rapporti con il terrorismo. Forse in questo momento il regime aveva bisogno di merce di scambio. Questo almeno dicono i giornali.
Cecilia è davvero brava, nel 2023 “Stories” è stato premiato come miglior podcast italiano di News; non racconta dei fatti, ma incontra una persona e attraverso la sua storia parla della Storia. Lo fa benissimo; non carica mai sui sentimenti, anche quando parla di luoghi ed eventi terribili; lascia che sia il racconto a parlare. A volte il suo podcast non è facile da sentire, perché gli uomini e le donne che incontra, spesso in scenari di crisi, ci ricordano che dietro i titoli dei giornali ci sono volti, fatiche, sofferenze di persone reali.
Ora le parole dei titoli di giornale parlano di lei: dietro le parole c’è una persona reale, che sta soffrendo una sofferenza altrettanto reale. Dobbiamo ricordarcelo: un po’ ce l’ha insegnato lei.
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