Alice racconta la sua esperienza con la Croce Rossa
“Solo questo sono stato capace di vedere in diciassette anni: ho creduto fosse il mondo intero e non era che una tessera del mosaico”
Alessandro D’Avenia- Ciò che inferno non è
A 17 anni ho scoperto di essere stata cieca per una vita intera. Sono nata cieca, in un angolo del mondo incredibilmente fortunato, o almeno così credevo. A tavola da piccola papà mi faceva guardare tutti i giorni il telegiornale e, mentre mi riempivo la pancia di ottimo cibo, davanti a me scorreva una carrellata di immagini di poveri e malati, guerre e catastrofi naturali. Ma quello che divideva la mia e la loro realtà era uno schermo, e quando papà lo spegneva quei problemi scomparivano e ritornava la pace.
Maggio 2024, primo anno da volontaria in Croce Rossa. Mi iscrivo casualmente ad un campo estivo di una settimana a Roccapietra che si sarebbe svolto a fine Luglio. Il campo è una vera e propria palestra per formare volontari in grado di saper gestire una possibile situazione di emergenza, come quella degli sfollati, con la differenza che sei lì per regalare a 50 bambini con situazioni famigliari estreme, seguiti dagli assistenti sociali, una settimana di normalità.
È stato proprio lì, al campo, che ho visto la realtà per la prima volta. Mi sono trovata davanti agli occhi delle piccole creature la cui storia non mi era permesso sapere, ma che in alcuni casi riuscivo a intuire dalle cicatrici e dai loro visi spenti. Mi sono trovata a dover dare tutto l’amore che avevo a disposizione a dei bambini che nella loro breve vita non ne avevano ricevuto a sufficienza, che non avevano avuto la banale e scontata fortuna di ricevere attenzioni e protezione dai propri genitori. Loro non sono nati in quella parte di mondo che aspetta i 18 anni per definirsi finalmente libera, senza rendersi conto di aver sempre posseduto quella stessa libertà.
Ho conosciuto giovani volontari come me, persone meravigliose con cui ho condiviso la difficoltà di sopportare il caldo afoso di luglio senza aria condizionata o ventilatori e la maleducazione e l’esuberanza di alcuni bambini la cui unica colpa è stata quella di nascere in una famiglia assente, la stanchezza a fine giornata dopo averli messi tutti a dormire che si contrapponeva alla soddisfazione di poter dire: “Oggi non ho salvato il mondo, ma ho fatto sorridere un bambino”.
E ad ogni turno, sia che fossi in cucina ad aiutare i cuochi, sia che fossi a pulire i bagni o a fare animazione, ho messo in gioco una parte di me che non avevo mai tirato fuori.
Lasciavo in tenda il telefono la mattina e lo riprendevo in mano la sera; ciò mi ha permesso di vivere a pieno ogni momento, senza avere la paranoia fissa di controllare messaggi e storie Instagram, perchè le storie più importanti in quel momento erano quelle 50 che stavo provando a riempire di ricordi felici.
Queste 50 vite non provengono da chissà quale angolo del mondo, sono bambini che se abiti in Piemonte potresti trovare uscendo semplicemente di casa e passargli vicino, senza accorgerti dell’abissale differenza che c’è tra la loro e la tua esistenza. E forse, se tutti sentissimo il racconto di due sorelline arrivate da poco dall’Ucraina che passano il tempo giocando alla guerra perché è l’attività a loro più familiare, o di quel bambino che è costretto dalla famiglia a spacciare per guadagnare qualche euro, o di quella bambina piena di cicatrici sul corpo e sul viso che piange quando arriva il momento di tornare a casa, riusciremmo a strapparci tutti via quella benda che abbiamo sugli occhi che ci hanno messo quando siamo nati per proteggerci dalla crudeltà umana.
Ho sentito spesso adulti che sminuivano i problemi dei miei coetanei nati nella parte di mondo benestante comparandoli a scenari decisamente peggiori e catastrofici, ma anche ora che sono consapevole di questa nostra condizione di cecità diffusa, credo che questa tecnica di estremo e rigido moralismo non produca alcun frutto. Nessuno decide dove nascere e che problemi avere, e per quanto un adulto possa impegnarsi a spiegare a un adolescente medio che un voto insufficiente di matematica è una sciocchezza rispetto a una malattia terminale, sprecherà il suo tuo tempo, finché il giovane non vedrà e sperimenterà certe situazioni in prima persona. D’altronde, si può provare a descrivere a un cieco i colori, ma finchè non li vedrà con i propri occhi non capirà mai veramente quanto bello possa essere un arcobaleno.
Alice Ricino