Nelle ultime settimane si è diffusa anche in Italia la notizia dell’esistenza di una nuova droga che arriva dall’America e sta dando origine a una vera e propria emergenza. Si chiama Fentanyl, o “droga degli zombie” per la sua capacità di trasformare chi la assume in veri e propri “morti che camminano”. È un analgesico con una potenza di almeno 80 volte superiore a quella della morfina, ma a differenza di molte altre sostanze, il Fentanyl ha un costo ridotto che lo rende accessibile a tutti.

L’Istituto superiore di sanità americano afferma che sta creando problemi soprattutto ai giovanissimi e, facendo parte di quella generazione, mi sono sentita in dovere di parlarne.

A mio avviso si analizzano sempre troppo poco le cause di un fenomeno, se ne parla sempre in maniera talmente superficiale che alla fine è come se non se ne fosse parlato veramente, considerando soprattutto in questo caso l’importanza dell’argomento. Mi rendo conto che non sia semplice andare ad esplorare le radici di un problema così drammatico, ma col tempo mi sono creata un’opinione personale sul tema delle dipendenze; osservando la mia piccola realtà, ho notato che tutti tendiamo a rifugiarci in azioni abitudinarie, alcune negative e controproducenti che portano a vere e proprie dipendenze. Sono diversi i motivi per cui si rimane intrappolati dentro a un qualsiasi tipo di dipendenza, alcuni probabilmente nel tentativo di omologarsi alla massa o di appartenere ad un gruppo, altri annoiati dalla propria vita nel tentativo di trovare qualcosa di stimolante, altri ancora perchè vogliono scappare da un problema, o peggio, da loro stessi. Quest’ultima categoria mi sta particolarmente a cuore perché ne hanno fatto parte persone a me care che ho visto distruggersi davanti ai miei occhi, e credo che se avessero ricevuto il giusto aiuto da parte della società sarebbero riusciti ad uscire dal tunnel. La mia generazione è, a parer mio, una generazione incompresa sotto molti punti di vista. Si discute del perché siamo così ansiosi, ma nei fatti si tiene poco conto di quanto la tecnologia possa aver avuto un forte impatto sulla nostra psiche a partire dalla nostra infanzia, di come siamo stati costretti a chiuderci in casa per mesi interi a causa del covid e delle conseguenze che questo ha comportato. Se già prima esisteva un’emergenza, dopo questi eventi così incisivi la necessità di affrontare questo tipo di problemi è diventata più urgente. I giovani, non potendo uscire di casa per il covid, hanno trovato una via di fuga in dipendenze come droga, alcool, telefono… “È più semplice fumarsi un problema che risolverlo” mi disse un mio amico. E, per quanto questo pensiero sia estremamente tossico, è possibile comprenderlo. Coloro che rimangono coinvolti in questi circoli viziosi, non sono altro che individui vulnerabili, il prodotto di una società che tende a evitare certi argomenti perché “scomodi”, che non fornisce gli strumenti necessari per uscire dalle situazioni di difficoltà (o ne fornisce troppo pochi). Mi piacerebbe, nel mio mondo ideale, che venisse dedicato del tempo a scuola per rendere consapevoli i ragazzi delle situazioni che potrebbero presentarsi nel corso della loro vita e come risolverli. Vorrei che la scuola potesse essere uno strumento efficace per colmare quella mancanza spesso causata dalla disattenzione della famiglia o dalla paura che essa può avere di toccare certi argomenti con i propri figli. Vorrei che a persone come il mio amico, venisse mostrato che si possono scegliere strade più giuste della “strada più comoda”, che esiste una via d’uscita da quel labirinto che è la sofferenza. Perché per quanto un ragazzo possa essere forte, rimane sempre e comunque un ragazzo che necessita di trovare una mano a cui potersi aggrappare per salvarsi.

Alice Ricino