Due riflessioni proposte dagli studenti sul tema della shoah sono state premiate una settimana fa dall’ANPI e del Comune di Cossato. Le proponiamo nella giornata dedicata al ricordo della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo in cui siamo invitati a riflettere su ciò che la storia, che facilmente dimentichiamo, ci insegna.

Iniziamo con la riflessione di Ferrari Zaccaria e Di Luccio Leonardo, di 4V, la seconda, di Arianna Bego, la proporremo domani.

 

“Ogni volta che un uomo difende un ideale,

agisce per migliorare il destino degli altri,

o lotta contro un’ingiustizia,

trasmette una piccola onda di speranza.”

                                                                    Robert Francis Kennedy    (20 novembre 1925 – 5 giugno 1968)

“La vita e l’assoluta mancanza d’illusione,

e quindi di speranza, sono cose

contraddittorie.”

Giacomo Leopardi  (29 giugno 1798-14 giugno 1837)

Questo testo vuole essere un omaggio alla resilienza e alla speranza che caratterizzano l’umanità nei suoi momenti più bui, e anche un appello alla pace e alla comprensione reciproca.

In uno di quei momenti oziosi passati a scorrere sui social, sul nostro schermo è comparso un post, una fotografia che raffigurava uno di quei cartelloni pubblicitari tipici delle fermate degli autobus presenti nelle grandi città. A primo impatto ci è sembrato un manifesto promotore di qualche mostra artistica, tale quale gli altri; ma con una minima attenzione in più ci siamo resi conto di come si trattasse di una vera e propria denuncia sociale. Il poster rappresentava una grossa fotografia resa “pittorica”, che immortalava una scena tanto triste quanto tragica: un padre disperato, che sorregge il corpo morto e avvolto in un panno bianco del proprio figlio. La raffigurazione prendeva poi pieno senso di protesta con l’aggiunta di un pittogramma, posto in posizione centrale, rappresentante un altoparlante mutato, simbolo dell’indifferenza di molti Stati riguardo le crude vicende che stanno accadendo a Gaza. L’opera diventa quindi anche simbolo di speranza, la speranza che qualcuno si accorga di quello che sotto i nostri occhi accade ogni giorno e di conseguenza “smuti” tutto ciò.

Spesso, quando si parla della guerra tra Israele ed Hamas, si usa, insieme ad “indifferenza” e “complicità”, il termine “genocidio”. Tutte parole che riportano alla mente una tragedia indelebile nella memoria collettiva: la Shoah.

Ebbene, per capire se queste parole siano state usate a sproposito, bisogna interrogarsi su quali siano le similitudini e quali le differenze tra queste tragedie. Però non è nostra intenzione aggiungere considerazioni storiche, che abbondano già e che provengono da voci ben più autorevoli della nostra.

Noi vorremmo interrogarci su cosa rimane nell’animo di noi ragazzi, quando pensiamo ai suddetti drammi riguardanti l’umanità intera.

Basta leggere il giornale, guardare le notizie televisive o scrollare sui social per vedere quello che succede in Palestina, e tutte le discussioni che gravitano intorno a questa guerra. Le terribili conseguenze che stanno vivendo i civili palestinesi vengono paragonate da molti a quelle vissute dagli ebrei durante gli anni terribili delle persecuzioni e dello sterminio. Però vi è una differenza fondamentale. La soluzione finale alla questione ebraica era un progetto di sterminio sistematico, organizzato a tavolino e, purtroppo, funzionante nei minimi dettagli. Gli ufficiali nazisti misero in atto un sistema di treni, campi di concentramento, di lavoro e di sterminio funzionante come un’enorme fabbrica. Una fabbrica di morte.

Ciò che accade attualmente in Palestina, e particolarmente a Gaza, sono delle azioni di guerra. La guerra porta sempre con sé delle ripercussioni negative sui civili, e perciò vengono fatti accordi e trattati internazionali per tutelare i civili; questi però spesso non vengono rispettati. E in ciò sta la differenza fondamentale tra le due atrocità. Una è stata organizzata, discussa ed attuata in maniera fredda, come se si trattasse di bestie, più che di persone. La guerra di Israele invece non si pone formalmente l’obiettivo di sterminare l’intera popolazione palestinese, anche se le azioni belliche sono perpetrate in maniera esagerata e grossolana. Cosa rimane quindi a noi?

A seguito della visione del docufilm “Shalom”, confrontandoci, abbiamo concluso che ciò che ci ha colpito maggiormente è stata la speranza. La speranza di tutti i perseguitati, colpevoli solamente di essere nati o di avere delle idee non conformi, che è sempre rimasta in loro durante gli anni terribili delle persecuzioni.

“Con il Purim gli ebrei festeggiano una delle loro tante salvezze, l’ennesimo scampato pericolo, mentre sul tavolo della storia astuzia e caso si stanno giocando il loro destino”.

Da queste parole tratte dal docufilm emerge il forte desiderio di un popolo che credette fermamente nella pace per i propri figli. La stessa speranza dei cittadini israeliani e palestinesi, che sognano oggi un futuro di pace per la loro terra.

Nelle ombre della storia, sotto il peso di regimi oppressivi, sorge la speranza, tenace come l’ulivo nei campi aridi.

Gli ebrei in Italia, sotto il fascismo, videro l’oscurità, ma nel cuore portavano la luce della speranza, della comunità. Le leggi razziali, le persecuzioni, non spesero il loro spirito; e, come i fiori che sbocciano tra le rocce, resistettero, anche nell’ora più buia.

E oggi, in Palestina, tra il fragore delle armi e il pianto, la stessa speranza si leva, forte, come un canto, un canto di pace, di un futuro senza guerra, dove ogni bambino può crescere senza la paura di tutto ciò che lo circonda.

La storia ci insegna come la speranza sia l’arma più forte che abbiamo a fianco. Con la memoria del dolore, guardiamo al domani, con la promessa di un mondo senza più inganni. Dove ebrei e palestinesi possano vivere in pace; e la speranza, come un ponte, unisca ogni spazio, ogni popolo.