Il ritratto dell’Italia proposto dal CENSIS

Sonnambuli. Questa è la parola scelta da Massimo Valeri, direttore del Censis, per aprire il suo intervento di presentazione del 57° Rapporto sulla situazione sociale del Paese – 2023; l’ha utilizzata come immagine sintetica di quello che quelle pagine raccontano sull’Italia e degli italiani del nostro tempo. I sonnambuli, spiega, sono persone apparentemente vigili, ma incapaci di vedere davvero.

Il riferimento è ad una società che sceglie di non vedere i presagi evidenti di fenomeni che sono, nel loro evolversi, largamente prevedibili, come è facile prevedere che il loro impatto sarà dirompente, soprattutto se non si agirà con intelligenza. Ma l’essere sonnambuli impedisce di attivare il raziocinio, di studiare seriamente possibili soluzioni per affrontare le sfide che il futuro ci riserva.

Il sonno degli italiani non è neppure sereno, accompagnato da sogni rassicuranti; la notte dei sonnambuli è affollata di mostri e di paure millenaristiche più o meno irrazionalmente motivate. Spaventati, quasi terrorizzati, da un futuro che pensano di non poter controllare sono, per l’80% convinti di vivere in un paese afflitto da un declino inevitabile, ancora di più, l’84%, hanno paura delle manifestazioni estreme dell’emergenza climatica, il 60% teme che scoppierà un conflitto da cui non saremo in grado di difenderci, il 53% di un collasso finanziario causato dal crescere del debito pubblico e il 56% è convinto di contare poco.

Sono stati traumatizzati dagli eventi come il terrorismo, il covid, la guerra in Europa, che nessuno aveva preannunciato e sono invece piombati sulla loro quotidiana tranquillità sconvolgendola e cogliendoli impreparati.

Gli scenari che gli esperti profilano per il futuro non vengono vissuti come sfide che mobilitano intelligenza e capacità di reazione, ma generano nei sonnambuli una colpevole inerzia. Così scelgono di non puntare più a grandi ideali, spesso neppure sperano in una realizzazione nel proprio lavoro; puntano piuttosto alla ricerca di piaceri minori, consolatori, ad una felicità privata affidata alle piccole cose. Una decisione che non nasce dalla saggezza di chi ha imparato la moderazione, ma dall’incapacità di concepire un ideale che orienti verso una vita spesa per realizzare un obiettivo che li trascenda.

E i giovani? I giovani sono pochi, sempre meno, e questo li priva di molto potere contrattuale, rendendo poco ascoltate le loro istanze. In questi anni dai giovani raramente provengono spinte al rinnovamento, solo occasionalmente si levano voci di protesta o partono lotte in difesa di specifiche rivendicazioni.

Il dramma è che molti dei migliori di loro sperano di andarsene e tantissimi l’hanno già fatto. Questo ha fatto sì che, contro molta della retorica corrente, siamo un paese che ha più emigrati (quasi sei milioni) che immigrati (cinque milioni). Tra gli emigrati decine di migliaia provengono dalle file dei giovani laureati, spesso da quelle dei più ricchi di spirito di iniziativa, mentre al contrario gli immigrati sono cercati dall’Italia, al di là delle loro competenze reali, soprattutto per tappare le voragini che si creano nel mercato del lavoro intorno ai servizi meno qualificati, da quelli dell’edilizia alle badanti.

Nelle conclusioni il dott. Valeri dice, citando Marc Bloch, che l’Italia di oggi ha più che mai bisogno di un nuovo immaginario collettivo che non giochi sulle paure irrazionali o sulle teorie del complotto, ma che sappia fornire idee ed immagini che stimolino il risveglio di quelle energie che possono mobilitare le nostre risorse verso la costruzione di un futuro diverso. Come dargli torto