Intervista al prof. Barausse – Le conseguenze della modifica della Costituzione

Il 20 settembre 2023, con la seconda e ultima deliberazione da parte della Camera dei deputati, è terminato l’iter legislativo per l’approvazione del disegno di legge costituzionale n. 715-B che inserisce lo sport in Costituzione. All’art. 33 viene aggiunto un nuovo comma che recita: «La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme»

Abbiamo chiesto al prof. Barausse un parere.

Lo sport entra nella Costituzione: secondo lei è una buona notizia?

Certamente è una buona notizia perché lo sport viene riconosciuto, non vorrei però  fosse un’idea di facciata. Nella nostra società, infatti, nessuno potrebbe negare l’importanza dello sport ma è difficile stabilire quanto questo concretamente comporterà un cambiamento nelle nostre vite.

Perché questa modifica è stata inserita ora? Chi ha preso l’iniziativa e perché? 

I padri costituenti non avevano ragionato sullo sport perché si veniva dal periodo del fascismo e, in particolare, del sabato fascista, momento in cui tutti andavano allo stadio per svolgere attività fisica. Questo significava per l’epoca mantenimento di ordine e disciplina. Proprio per questi motivi all’inizio non è stato inserito lo sport nella Costituzione. Ovviamente ci siamo distaccati da quel periodo e finalmente è stato riconosciuto ufficialmente senza avere più il timore che venga associato al periodo fascista.

L’inserimento nella Costituzione stabilisce solo un principio o avrà degli effetti concreti?

Proprio come viene scritto dal governo sul sito ufficiale “La Costituzione da oggi riconosce il valore dello sport ma non ne determina un diritto”. 

Nella precedente legislatura, lo sport, veniva inserito nell’articolo 32 con la difesa del diritto alla salute ma questo voleva anche dire garantire a tutti la possibilità di svolgere attività fisica investendo su di essa, in modo che tutti ne potessero usufruire gratuitamente. Tutto questo avviene in alcuni paesi esteri ma in Italia, seppur ci si sta muovendo in quella direzione, ancora si deve percorrere un lungo tragitto prima di raggiungere quel livello. 

Riconoscerlo come diritto, quindi, vorrebbe dire davvero fare un grande passo.

Ringraziamo il prof. Barausse per la disponibilità.

Beatrice B.