Conversazione con Alice Pistono

In questi giorni abbiamo intervistato Alice Pistono, ex studentessa del liceo linguistico, diplomata nel 2015. Proprio in quell’anno ha iniziato a frequentare la UCL (University College of London), da cui si è laureata quattro anni dopo in Genetica ed Evoluzione con una particolare focalizzazione sulla Comunicazione Scientifica. Attualmente lavora per un’editrice americana, JoVE, che pubblica articoli scientifici e video didattici in ambito STEM.

Suo compito è gestire i rapporti con le Università italiane per arricchire la didattica, aiutare nella preparazione ai test d’ingresso e migliorare la ricerca. Con le università organizza eventi a tema STEM, spinge per portare avanti innovazione nella didattica e studia strategie di comunicazione di contenuti scientifici per il grande pubblico.

“Diciamo che nel quotidiano faccio un qualcosa che amo molto: parlare con la gente.”

 

Tu sei in una posizione particolarmente interessante per vedere cosa si muove nella ricerca scientifica. Quali sono i settori in cui, in questo periodo, la ricerca è più vivace? 

Potresti anche spiegarci, in parole semplici, a cosa punta la ricerca in questi settori, quali risultati vorrebbe ottenere e qual è, a tuo giudizio personale, il settore della ricerca da cui stanno arrivando novità che sono destinate a cambiare aspetti importanti della nostra vita?  

Negli scorsi anni c’è stata molta attenzione nei confronti dei trend messi in pista da Elon Musk: Neuralink, Hyperloop, Starlink e così via. Alcuni di questi si sono rivelati promettenti, altri molto meno. Certo, è affascinante pensare di potersi spingere ai confini del sistema solare, o di fare un backup del proprio cervello, o ancora di poter invertire il processo di invecchiamento, ma nessuno di questi risponde ad un bisogno impellente dell’umanità.

Credo che, al momento, fra le mani abbiamo tre aree di ricerca che, nel medio-breve termine avranno un impatto enorme sulla popolazione mondiale:

  1.   Cure (di ogni tipo: terapia genica, farmaci inibitori, immunoterapia, ecc) per il cancro. Si stima che, per quando la nostra generazione arriverà ai 70 anni, una persona su due avrà avuto almeno una tipologia di cancro nella propria vita (ora è circa 1 su 5).
  2. Intelligenze artificiali per l’automazione. Più di qualsiasi metaverso e affini, l’arrivo di ChatGPT 3 ha dato un esempio reale di ciò che l’innovazione in ambito AI possa portare. Ognuno di noi ha, d’un tratto, un assistente virtuale gratis sul proprio computer. La rivoluzione!
  3. Nutrizione e OGM per sostenere una popolazione in costante aumento sulla Terra. Siano esse varietà di riso con aggiunta di vitamina A (una modifica che, si stima, ad oggi ha salvato più di 200 milioni di vite), oppure la carne prodotta in laboratorio.

Oltre ad essere di utilità pratica, queste aree sono altamente interdisciplinari: non si può produrre un farmaco senza che informatici, chimici, biologi e matematici lavorino insieme.

Confesso che la mia valutazione è un po’ soggettiva perché, da genetista, credo che il benessere della specie umana e del pianeta debbano rimanere di primaria importanza, però questo non esclude i moltissimi altri ambiti che ricevono fondi. Pensate a quanto lo sviluppo e l’implementazione di metodi per produrre energia da fonti rinnovabili sia diventata importante nell’ultimo anno a causa della guerra russa in Ucraina. Il mondo si muove con la politica, e la ricerca non dev’essere da meno.

Quali consigli daresti a chi volesse studiare per diventare un ricercatore sia nel senso di suggerire i settori dove si aprono le maggiori possibilità, sia nel senso di quale percorso intraprendere?

Questo è un consiglio che mi sento più di dare nella veste di persona che lavora con le università, i professori e le classi, anziché da “tecnica” di settore scientifico: studiate ciò che vi piace. Sento tantissimi ragazzi ossessionati dal test di medicina che passano anni ed anni ad inseguire la carriera di medico con l’idea di voler arrivare ad una professione specifica, e poi perdere questa passione per strada vedendo quanto è accidentato il percorso. Studiate ciò che vi piace e basta, guardando, nel mondo, alle figure che vi ispirano.

A me piaceva la teoria di Darwin e ho studiato l’evoluzione degli ominidi. A una mia collega piaceva Breaking Bad e ha preso un dottorato in chimica, ora facciamo lo stesso lavoro e nessuna di noi lavora direttamente nella ricerca, ma da buone chiacchierone contribuiamo a renderla innovativa e a diffonderne i risultati nel mondo. Per ciascuna materia scientifica “fondamentale” (biologia, chimica, matematica, fisica, informatica) si possono aprire mille strade se si è davvero appassionati. Ci si può riconvertire, scoprire nuove applicazioni, ambiti mai intrapresi. Anche le materie umanistiche hanno bisogno di scienziati che le supportino. Un giorno a Londra, mentre studiavo, ho incontrato una signora che lavorava per Google con linguista e aiutava gli sviluppatori a migliorare i sistemi su cui si basa Google Translate. Poche volte ho pensato ci fosse un lavoro più figo di così al mondo (non so se posso dire figo, fatemelo passare).

Chi ama la ricerca sente sempre dire che in Italia c’è poca attenzione a questo settore. E’ sempre vero? 

In Italia i fondi destinati alla ricerca sono bistrattati, è vero. Anche da insider le voci che arrivano non sono sempre confortanti, perché la carriera di ricercatore è vincolata, nella maggior parte dei casi, a contratti progettuali. Solo chi ha una cattedra universitaria può fare ricerca in maniera continuativa, senza aspettare rinnovi che a volte non arrivano mai. Ma ci sono anche molte strutture private, centri di ricerca, aziende, che si occupano di aiutare il mondo a portare innovazione STEM. L’errore forse è pensare che solo il mondo accademico “valga” in questo senso, ma non è così. Nel privato la ricerca è molto importante e, in un mondo così connesso, anche in Italia è possibile trovare ottimi lavori da ricercatore.

Pensi che in futuro continuerà ad esserci una distinzione netta fa conoscenze umanistiche e scientifiche, in particolare, nel campo della ricerca, pensi siano importanti competenze socio-relazionali?

Già ora vediamo i confini sfumarsi sempre di più, come nel caso della signora che lavorava da Google. All’Università di Torino quest’anno si inaugura un master in scienze umane e sociali per le intelligenze artificiali, un qualcosa che in altri Paesi esisteva già da qualche anno e che ora sta approdando anche qui. Quando feci la mia domanda di ammissione all’università ricordo che scrissi nella mia lettera di motivazione che, per un’appassionata di libri come me che faceva il Liceo Linguistico, i geni erano come una serie di lettere, ed il DNA un libro. La bellezza stava nel fatto che, aggregandosi in modo diverso, i geni formavano per ognuno di noi un romanzo diverso. Io avevo come unico desiderio quello di imparare a leggerlo. Scoprii poi dopo che questa metafora era tutt’altro che innovativa, e che anzi, un famoso genetista di nome Steve Jones l’aveva teorizzata prima che io nascessi in un libro che si chiama Il Linguaggio dei Geni (che poi ho letto e in effetti mi è piaciuto un sacco). E’ una prospettiva bellissima, quella di umanistica e scienza che si fondono, e, oltre ad emozionarmi personalmente, di fatto ci riporta indietro di qualche secolo ad un trend fantastico, per cui essere eclettici vale più che essere iper specializzati, soprattutto quando le combinazioni sono nuove e folgoranti (avvocati/scienziati, psicologi/informatici, musicisti/medici, ecc.).

 Come si può già vedere l’automazione sta aumentando sempre di più. Ipotizzando che le macchine svolgeranno buona parte delle mansioni, pensi che anche i ricercatori, più in generale persone che lavorano nel campo delle scienze, avranno più tempo da dedicare ai propri interessi/svaghi?

Certo che sì! Se avessi avuto una bella macchina a fare tutte le mie PCR (una tecnica di biologia molecolare ) durante la magistrale mi sarei risparmiata un sacco di sveglie alle 6 di mattina. L’automazione credo toccherà tutti gli ambiti e, in grande scala, ci sta già permettendo di concentrarci su compiti più strategici e di comprensione generale. Per questo credo che l’era delle iper-specializzazioni stia volgendo al termine. Le macchine saranno in grado di svolgere compiti molto tecnici infinitamente meglio di noi, e la nostra abilità starà nell’utilizzare la creatività e l’intelletto per sfruttare al meglio le miriadi di opportunità che abbiamo, lasciando alle macchine la cura per i dettagli.

Ringraziamo Alice per la sua disponibilità e speriamo che questo articolo vi possa essere d’aiuto.

Sabrina I.