Gioele Arlone racconta la settimana di Orientamento alla Normale di Pisa

«Come può descriverci la sua esperienza al 113° corso di orientamento, in località San Miniato, indetto dalla Scuola Normale Superiore?», a questa semplice, ma allo stesso tempo complicata domanda, non posso che dare una prima risposta intuitiva, di totale sincerità, ovvero dire che «è stata la più bella esperienza scolastica della mia vita».

A questa conclusione sono giunto poco tempo dopo la partenza da San Miniato, quando ho ripercorso l’intera esperienza per raccontarla ai miei genitori venuti a riprendermi. Per prima cosa mi è tornato alla mente il caratteristico borgo medievale che, in lontananza, ancora vedevo troneggiare dalla sommità della sua collina sulla campagna Toscana: lì il tempo pareva essersi fermato, come se eventi quali la distruzione della sua possente Torre di Federico (ora fedelmente ricostruita), non avessero in alcun modo scalfito la sua presenza millenaria.

Poco dopo le immagini si sono confuse fino a far emergere dalla memoria una torre leggermente pendente e poi l’intera Piazza dei Miracoli, con il suo Duomo e il suo Battistero forse meno noti del campanile, ma non privi di altrettanta bellezza. Pochi attimi ed è comparso il palazzo vasariano della Scuola Normale Superiore e Piazza dei Cavalieri, intrisa nei suoi misteri, fra i quali i passaggi sotterranei fra gli edifici e ancora i resti della dantesca torre di Ugolino.

Finita la “formale” contestualizzazione mi sono reso conto di aver partecipato per una settimana ad una vita certamente vicina a quella universitaria, anzi, addirittura di tipo collegiale. La prima esperienza di condivisione era stata quella di una stanza con un altro studente, ma in seguito lo stesso hotel si era comportato come un unico organismo, ad esempio in occasione di un falso allarme antincendio che lo aveva animato di suoni diversi da quello della sola sirena. Ricordavo un brusio di passi, di persone in movimento fra i piani o nelle scale che bussavano alle porte di chi ancora non si fosse alzato, un moto ordinato che alla fine aveva fatto evacuare tutti prima che qualcuno lo ordinasse veramente.

Si era trattato di solidarietà, la stessa che avevo avvertito anche durante le illuminanti lezioni tenute da professori, dottorandi e tesisti distribuiti fra la Normale e l’Università di Pisa. Lezioni sempre dotate di una componente umanistica e di una scientifica con i dovuti sbilanciamenti in base alla materia trattata. Ciò che le accomunava era il fatto di svolgersi nella totale assenza di qualsiasi sensazione di freddezza e distanza; da una parte della cattedra ci invogliavano a far domande, dall’altra noi elaboravamo assalti ai relatori destinati ai momenti successivi le lezioni, ai pranzi, alle cene o ancora al tempo libero. Proprio perché propriamente libero non sembrava, visto che ci accanivamo a risolvere “simpatici” problemi di matematica che ci tenevano letteralmente svegli la notte.

È stato proprio in questi momenti che è emerso l’aspetto più importante dell’intera esperienza, al di fuori certamente del suo contributo all’orientamento, ovvero quello umano delle nuove amicizie e conoscenze. Dopo un lungo periodo di inconsueta socializzazione, ricordiamoci che tutti arrivavamo dai due anni passati con il SARS-CoV-2, in gruppi o gruppetti si scambiavano storie, passioni e conoscenze, con lo stupore di trovarsi a riconoscere una certa somiglianza fra tutti coloro che erano presenti, tanto da spingere alcuni di noi (io sono fra questi) a dire «allora esiste davvero qualcuno identico a me!».

Voglio immaginare questa affermazione come parte dello scenario futuro di ognuno di noi: voglio pensare che una volta trovato il giusto percorso ci saranno anche le giuste persone per portarlo affrontare pur di fronte al presentarsi di innumerevoli errori, sempre puntuali e tali e quali ad un incontrovertibile assioma. Incoraggiamoci, o scoraggiamoci nel caso in cui volessimo entrare alla Normale, di fronte al voto di otto decimi ottenuto dal premio Nobel Enrico Fermi nella sua lettera di candidatura, ma convinciamoci del fatto che l’inseguire la facoltà avvertita come nostra sia sempre la strada corretta.

Confidiamo infine nella speranza di trovare un qualcuno pronto ad aiutarci e a sostenerci, nella possibilità che lungo la strada si palesi una figura almeno avvicinabile a quella di Pasqua, la persona che ha letto tutte le nostre candidature, imparato tutti i nostri cognomi, nomi, anche le provenienze tanto da sembrare una seconda madre in grado di accogliere ogni nostra richiesta per risolverla.