Il 21 febbraio 2020 sembrava un giorno qualsiasi, anzi, a scuole era stato un giorno più allegro del solito: in palestra era appena finita la gara letteraria e ci si salutava come ogni fine settimana, solo con qualche battuta in più: “Buon viaggio” era l’augurio per chi doveva partire per la Spagna, per una vacanza studio, “Buona gita” quello al gruppo che, beato lui, comunque la settimana successiva a scuola non ci sarebbe venuto perché sarebbe stato a Bologna, “In bocca al lupo” a quelli che avevano in programma le passeggiate per le giornate dello sport.
Ci attendeva un periodo pieno di eventi, di progetti, ma avevamo davanti cinque giorni di vacanza per Carnevale e ognuno aveva i suoi programmi: nella nostra fantasia ci aspettano il profumo delle fagiolate nei paesi, una passeggiata, una sciata, gli appuntamenti con gli amici, la serata al Globe: le solite cose insomma, la vita, quella normale.
Il giorno prima era stato scoperto un caso di Covid a Codogno, ma dai… perché preoccuparsi troppo: saranno i soliti allarmismi.
Invece quel venerdì era l’ultimo giorno normale. Nel giro di poche ore le notizie dalla Lombardia avrebbero fatto precipitare l’Italia in un incubo: quella sera i telegiornali ci avrebbero rivelato che la situazione era ben più grave di quella immaginata: la domenica avremmo saputo che tutti i nostri progetti di viaggio erano stati annullati. Eravamo ancora convinti che fosse una pausa breve, un sacrificio necessario, anzi, una minivacanza in più a cui presto sarebbe seguito il ritorno alla normalità.
Sono passati 366 giorni e la “normalità” continua ad essere un miraggio: abbiamo dovuto imparare a convivere con la sensazione di rincorrerla, di vederla avvicinarsi e poi, quando sembra ormai a portata di mano, improvvisamente allontanarsi; tutti noi, noi che avevamo stretto i denti, faticato per cercare di raggiungerla, restiamo lì, ansimanti, ogni volta un po’ più stanchi.
Una stanchezza che apre fessure, da cui, come spifferi maligni, si insinuano frustrazione, rabbia, rassegnazione, demotivazione…
Il COVID, che si è abbattuto come una tempesta sulle nostre storie, spargendo morte, sconvolgendo i programmi e minando le nostre attese ha avuto effetti pesanti. Mi riconosco nelle parole pronunciate da Papa Francesco, di fronte ad una piazza San Pietro vuota: “La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità”.
Non possiamo minimizzare, non “andrà tutto bene”, non è detto che ne usciremo migliori e più consapevoli: ormai dovremmo aver capito che la storia non contempla l’arrivo di una Daenerys Targaryen che, cavalcando i Draghi, spazzi via i problemi dissolvendoli in un rogo purificatore. Sappiamo che ci tocca di ammettere le nostre fragilità, che dobbiamo rivedere progetti e priorità. Dobbiamo ritrovare ciò che alimenta la nostra vita e la nostra comunità: 366 giorni sono passati e ora una bella sfida ci attende per i prossimi 365 giorni. Davvero. Una bella sfida.